27 giugno 2007

VILLE E CASALI....IN JAZZ

Nonostante Marshall McLuhan me lo avesso detto (propriamente non solo a me.... e non direttamente), nonostante le avvisaglie ci fossero un po’ ovunque, io non lo avevo capito. Continuavo ad essere ignaro. Il mondo della musica jazz mi appariva da ragazzino come quella isola felice dove il divismo e l’apparenza non c’erano o quasi. Dove contava il merito dell’inventiva e del talento. Per uno cresciuto guardando con ammirazione le jam-session al Capolinea e alla Studio 7 di Milano il mondo del jazz italiano appariva come un fantastico mondo a parte. I mitici aneddoti di Sellani, Basso, Cerri, De Filippi delle sedute nello studio di registrazioni di Barigozzi sono indimenticabili. Poi piano piano scopri che il mondo cambia un po’ ed è normale che sia così, che del jazz italiano iniziano ad occuparsi anche qualche major discografica o meglio, che qualche major discografica si occupa di alcuni nomi del jazz italiano. Tra l’altro di musicisti d’indiscusse capacità e talento.
Che piano piano, senza che neanche loro stessi se ne rendano conto, quei pochi nomi iniziano a cambiare i loro cachet in base alle esigenze di mercato e poi li cambiano ancora e poi ancora con l’arrivo dell’euro (se ne rendono conto!!!). Le riviste specializzate si occupano sempre più di loro. E lo scenario musicale cambia radicalmente. Le nuove regole sull’enpals danno la mazzata finale ai locali che stavano in piedi facendo suonare jazz . A Milano arriva il Blue Note, chiude il Capolinea, le modalità di fare musica cambiano sempre di più. Chiudono i jazz club ma aumentano i festival, cioè chiudono i posti dove può fare musica anche un musicista non affermato e nascono kermesse che in Italia sono prevalentemente riservate alle nuove star del jazz e soprattutto ai big stranieri. Le jam session sono introvabili. Il jazz viene trasmesso da qualche radio da fighetti nella versione più melliflua possibile. Nascono musicisti come Amalia Grè, Giovanni Allevi, Mauro Biondi, Ivan Segreto. Scompaiono sempre di più alcuni nomi che hanno fatto la storia del jazz, anche del jazz recente (...ma il grande Maurizio Giammarco dove suona?). Anche in questa musica, tutto va consumato veloce e subito. Il jazz è soprattutto una merce da vendere. I direttori dei giornali specializzati ammettono senza problemi che hanno bisogno dei grossi e dei soliti nomi in copertina e nei cd allegati perché devono vendere. E i soliti nomi sfornano quintalate di cd, anche con progetti improbabili, di cui musicisti geniali come loro potrebbero fare a meno. Ma il mondo va così e certe volte davanti a un allievo di 15, 20 anni di talento che vorrebbe vivere di musica non si sa cosa dire. Anzi stamattina mi verrebbe da suggerirgli di leggere di Arrigo Polillo non il solito “Jazz”, ormai soppiantato da testi più interessanti, ma il suo meno conosciuto “Stasera Jazz” del 1978 (Mondadori) dove l’eminente critico musicale descriveva gli inizi del jazz in Italia, del Circolo del Jazz Hot a Milano degli anni ’30, le avventure di Armando Trovajoli al festiva di Parigi, di Nunzio Rotondo, Umberto Cesari, del Festival di Sanremo (quello di jazz) e di molto altro ancora.
Poi, anche se ti viene un po’ da ridere quando scopri cha la rivista “Ville e Casali” (trovata per caso in un agriturismo in Basilicata) pubblica un numero speciale dedicato alle “case” dei jazzisti italiani, bisogna riconoscere che questi stessi musicisti hanno reso importante il jazz italiano nel mondo e quando salgono sul palco ci sanno sempre emozionare. Allora metto nel cd player un cd di Bollani e mi riconcilio con il mondo, ma mi chiedo: come li aveva disposti i libri Bollani a casa sua nelle foto di “Ville e Casali”? Avrei dovuto proprio imboscarmela quella rivista quel giorno.

Max De Aloe

24 aprile 2007

Nanuk l'eschimese, i Q3 e Giovannona Coscialunga



Per posta mi arrivano molti cd di jazz e una valangata di mail di musicisti che si propongono per il Festival Jazz di Gallarate. Un numero spropositato, neanche fossimo Montreux o Umbria Jazz o il meraviglioso e ricco festival dell’Aia. Cerco di rispondere a tutti e soprattutto ascolto, insieme ad altri amici del Centro Espressione Musicale, il materiale che ci arriva. Purtroppo il festival di Gallarate, per quanta cura, amore e passione ci si metta ad organizzarlo ha soltanto tre serate l’anno. Percui gli esclusi sono tanti, troppi purtroppo.
Tra i cd mi è arrivato nei mesi scorsi “On cue”, opera prima di un trio di Lugano i Q3. La prima cosa che mi colpisce è la grafica del cd, moderna, accattivante, studiata nei particolari che rispecchia la stessa idea del sito. Una novità, in quanto il design dei cd e dei siti nel mondo del jazz spesso lascia a desiderare. Negli ultimissimi anni la cosa è migliorata ma penso che nei cd di jazz italiano ci siano le peggiori copertine della storia della musica. Tra i primi posti dell’orrido, e non mi vergogno a dirlo, il mio cd cofirmato in trio con Massimo Moriconi e Mike Melillo dedicato a Matt Dennis e Bruno Martino (e la sostanza musicale non è molto meglio….).
Ascolto “On cue” e scopro una freschezza musicale e una modernità nella scelta dei suoni e del modo di proporsi verso l’idea del jazz targato terzo millennio. Se analizzati singolarmente i musicisti non sono certo dei grandi virtuosi (per fortuna!! sono troppo stanco di tutti quelli che vogliono mettere in un brano tutto quello che sanno fare) ma l’insieme è molto interessante. Si sente che c’è la tradizione del jazz ma anche l’amore per il “drum and bass”, per le sonorità funky rock anni ’70, per la musica che arriva dal Nord Europa e chissà quant’altro.
Ci faccio un pensierino, ma sento la necessità di andarli ad ascoltare dal vivo.
Tra le date del loro sito vengo incuriosito da un concerto al Teatro di Chiasso. I Q3 mettono in scena la musicazione di un film muto dal titolo “Nanuk l’eschimese” . Ci scriviamo per mail con il batterista Brian. Parto con il mio amico Gigi alla volta di Chiasso. Ma Chiasso è in Italia o già in Svizzera? Gigi mi rassicura che è già in Svizzera. E’ vero mi dico, ci andavo a comprare il tabacco per la pipa. Vabbè, ma questo poco conta. Anche se a me la dogana mette sempre ansia!!! Sarà per i dognanieri. Un po’ come tutte le divise. Persino i metronotte. Alla mia ignoranza geografica si aggiunge quella topografica di Gigi che fa tanto l’esperto di Chiasso (sarà per certi localini appena dopo confine?) ma in realtà mi porta in un paesino che non c’entra una mazza. Chiediamo a una Svizzerotta che ci indica la strada (solite battute sull’accento e altro che è meglio tralasciare!!!).
Arriviamo in teatro e veniamo sorpresi da un pubblico eterogeneo tra cui molti giovani e giovanissimi che si leggono il programma di sala (ma come? Giovanardi l’altro giorno in tv diceva che i giovani sono tutti in giro a fare le stragi sulle strade e ad ubriacarsi e a fare i filmati con i videofonini?). Anch’ io e Gigi leggiamo il programma di sala e, ignoranti come capre, scopriamo che Nanuk l’eschimese (Nanook of the North) del 1922, del regista statunitense Robert Flaherty, è il primo esempio di cinema documentario che ottenne un successo mondiale ed ebbe una profonda influenza sulla storia del cinema. E noi, caro Gigi, che al massimo eravano arrivati a “Giovannona Coscialunga disonorata con onore” (Edwige Fenech e Pippo Franco, regia di Sergio Martino, 1973 e scusate se è poco!!!)? Si è vero anche quel film ebbe un’influenza non sulla storia del cinema ma di molti adolescenti italiani.
Torniamo al concerto. La curatrice della rassegna introduce lo spettacolo. Brava, poche parole che già mi aspettavo la sbrodolata sul film muto con tutte le ripercussioni sui registi a venire, sull’uso delle camere, dei pianosequenza, del montaggio, delle cineteche nel Canton Ticino e Mendrisiotto, eccetera, eccetera.
Entrano i musicisti sul palco. “Cazzo sono giovanissimi”, dice Gigi. “Cazzo, veramente”, dico io.
Il pianista ha anche le infradito. Mitico!
Documentario e musica partono. Ottanta minuti di poesia. Questo documentario su questa famiglia di eschimesi è meraviglioso con dei momenti di tenerezza e ironia che è difficile trovare. Nanuk l’eschimese diventa subito l’eroe della storia. Ci riporta alle storie di Tarzan (quello epico con Johann Weissmuller, il tarzan campione di nuoto), alla delicatezza dei trucchi magici di Houdini, ai sorrisi di Charlie Chaplin (o almeno è quello che passa per la mia testa). E la musica scorre con grande sicurezza. Anche senza un orecchio attento e critico è evidente come i giovani tre fratelli abbiamo lavorato con grande dedizione e amore alle musiche sulla pellicola.
Simon Quinn al contrabbasso (18 anni, e quando ha registrato il cd, due anni fa, ne aveva 16!!!!!), Nolan Quinn alla tromba, flicorno, basso tuba, live electronics, pianoforte e piano fender (20 anni) Brian Michael Quinn alla batteria e vibrafono (25 anni). Ma quello che stupisce non è solo l’età di per se stessa ma è quanto questo gruppo suoni bene e quanta profondità e sensibilità ci siano in queste musiche. Sicuramente Nanuk e Q3 per quanto sarà nei miei poteri si rifarà nel prossimo festival di Gallarate (in programma il 5,6 e 7 ottobre 2007) ma soprattutto io sono diventato un vero fan dei Q3. Alla faccia di Giovanardi.
No dai Gigi, non possiamo proporre “Giovannona Coscialunga disonorata con onore” con le musiche dei Q3. J
Ah, dimenticavo : http://www.qtrio.ch/


Max De Aloe



17 aprile 2007

Sergio, Mine Kawakami e l'intuizione sprecata dei concerti soporiferi!!

Ho scoperto che c’è una musicista giapponese, Mine Kawakami, che ha portato in Europa i suoi concerti di “musica soporifera”. Recentemente si è esibita a Madrid in una sala dove il pubblico si è presentato al concerto con cuscino e abiti comodi. Invece delle poltrone il pubblico stava disteso sui tatami con l’obiettivo di addormentarsi. Sì, sembra che in Giappone i concerti “per far addormentare il pubblico” siano molto diffusi: un metodo infallibile per eliminare lo stress. Su un inserto del Corriere ho visto anche le foto. I Giapponesi sono avanti e Madrid è la capitale europea del vizio, no c’è dubbio.
Comunque, non per tirarmi delle pose, ma ognitanto quando ai miei concerti viene il mio amico Sergio anche lui dorme, ne ho i testimoni. Addirittura mi è capitato che qualcuno del pubblico, a fine concerto mi abbia detto, con un po’ d’imbarazzo: “sai che c’era una che dormiva?” . “Non vi preoccupate è Sergio, ho risposto io, se dorme vuol dire che va tutto bene”.
E io questa cosa qui di fare dormire il pubblico dovevo organizzarla meglio, dovevo capirla prima. Sergio mi ha dato spesso una dimostrazione di questo e io mi sono lasciato sfuggire i segnali così, senza coglierli. Altro che intuito d’artista! Ho perso un'occasione. Che potevamo esserci anche io e Sergio con i nostri faccioni sul Corriere.
L’altro giorno al concerto di inaugurazione dell’associazione amici nell’arte, mi sono accorto che qualcuno del pubblico alla fine di “Ul giuan Martora” e “Pack” piangeva, vale qualcosa? Una foto almeno sulla Prealpina? Parlerò con i miei musici compagni di viaggio, bisogna inventarci qualcosa. Cosa gli facciamo fare al pubblico durante il concerto? Non vorranno mica ascoltarla la musica? Aspetto suggerimenti. Aiutatemi.

Max De Aloe

16 febbraio 2007

I pianisti italiani che non mangiano la pasta al tonno!!!


Mi sento quasi in colpa. Questo povero Allevi me lo avete massacrato. Io volevo scherzarci un po’ su e invece le risposte al post sono state delle legnate tra i denti!!!! Tanto poi noi musicanti parliamo parliamo ma poi…..siamo quel che siamo. Che se il signor Allevi mi chiamasse perché ha bisogno un solo di armonica su un suo nuovo pezzo o se mi proponesse un duo di armonica-pianoforte in un concerto a Tokyo ben pagato cosa faccio io non ci vado? Ci vado sì!!! Brutta merdaccia che sono. Oscuro sul mio blog il post che lo riguarda e ci vado. Allora cosa scrivi a fare, dite voi? Allora cosa scrivo a fare, dico io? Che sei proprio un “parla parla” come tutti, caro pifferaio matto che suona l’armonica cromatica lui. Te oscura pure il post che parla di Allevi che tanto lui l’ha già letto, lui le ha già stampate quelle cose brutte che scrivi su di lui. Cosa prendi in giro, che anche Luzzato Fegiz le ha lette le “cosacce” che hai scritto su lui. Che non posso andare neanche più al Festival di Sanremo a cantare una canzone di amore che lui mi stronca. Ma continua a suonare l’armonica “acrobatica” e non scrivere più le cose cattive sui pianisti!!!! Che è tutta invidia la tua!!!!
Ecco la mia coscienza cosa mi dice!!!!!! Sensi di colpa che mi offuscano la mente, che mi lasciano insonni la notte. Povero Allevi, io non volevo…….con tutta quella pasta al tonno che si è mangiato.
Vabbè siccome concordo con tanti che hanno risposto al post che dicono che il signor Allevi non c’entra con il jazz (- ma cos’è il jazz???? solidale con chi scrive che c’entra di più con Richard Clayderman) allora mi permetto di suggerire agli amici che seguono questo blog un po’ di pianisti italiani di jazz che secondo il mio modesto avvisto non hanno i santi in Paradiso di Allevi ma suonano grande profondità facendo musica d’arte.
Insomma dei grandi artisti, alcuni molto famosi nel panorama jazz altri appena noti ma ugualmente degni di ascolto. Quelli che mio avviso sono “artista puro” (come direbbe il mio amico e grandi chitarrista “carioca” Beppe Fornaroli). Se volete andate a cercare i loro cd, i loro siti e quant’altro.

Antonio Zambrini
pianista milanese – suona in maniera molto “europea” – compone come pochi in Italia. Penso cinque cd a suo nome. Bellissimo il suo esordio con “Antonia e altre canzoni” per la Splasc(H) Records e poi gli altri cd sono prodotti da Abeat.

Glauco Venier
Raffinato, colto, ispirato tra i tanti da John Taylor.
Suggerisco “Gorizia” con un meraviglioso Kenny Wheeler e poi il suo cd in trio “Un anno” , entrambi prodotti da Artesuono.


Andrea Pozza
Il più bravo “accompagnatore” che abbiamo in Italia. Non è un caso che Rava l’abbia preso nel suo nuovo quintetto per sostituire Bollani e che il patron dell’ECM Manfred Eicher sia affascinato dal suo modo di suonare.

Umberto Petrin
Penso che sia tra più grandi pianisti “immaginifici” del nostro jazz. Suona bene ovunque ma il suo meglio lo dà nei progetti di confine. Che ci sia una ballerina, un attore o un artista cibernetico sul palco Petrin riesce a suonare negli “spazi” tutt’attorno, non prevaricando mai ma costruendo cornici di musica meravigliosa. Suona come potrebbe dipingere se fosse un pittore. C’è un bel DVD prodotto da Feltrinelli con Stefano Benni dedicato a Thelonius Monk.


Marco Detto
Energia e melodicità miscelati insieme in un cocktail unico. Il trio classico (piano-contrabbasso-batteria) è il suo ambiente congeniale. Scrive brani che solo un musicista di jazz italiano potrebbe scrivere. Forse una quindicina di cd a suo nome tra cui vanno citati “What a wonderful World” registrato a New York con Eddie Gomez e Lenny White ma anche “Altrove” o “BlueStones” o molti altri, tutti realizzati dalla Mingus/Music Center

Rita Marcotulli
Ascoltate il suo cd “Koinè”, uno dei lavori più interessanti degli ultimi anni. Mi dicono sia bellissimo anche il suo ultimo in piano solo ma non ho avuto ancora il piacere si ascoltarlo. La Marcotulli è una pianista raffinata, originale, capace di grande progettualità.


Poi ci sono pianisti ancora più noti che non avrebbero bisogno di menzione.


Enrico Pieranunzi
Difficile trovare un suo cd non interessante. Penso che sia il nostro pianista più noto nel mondo insieme a Dado Moroni e Stefano Bollani. Tra i tanti cd di Pieranunzi voglio citare “Racconti mediterranei” dell’Egea (meraviglioso) e poi “Fellini jazz” della CAM , “Ballads” e uno bellissimo con Chet Baker di cui non ricordo il titolo.

Dado Moroni
Ha suonato con tutti e inciso con chiunque in giro per il mondo. Dicono di lui che suoni all’americana. Io penso che sia un pianista talmente “musicale” che può suonare come vuole. Affascinante il suo duo con Kenny Barron.

Stefano Bollani
Non ha bisogno di presentazione. E’ spesso anche in tv. L’ho ascoltato in diversi contesti: nel ’96 a Siena Jazz con l’orchestra della Toscana e Richard Galliano; qualche anno dopo nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano con Rava e Gato Barbieri in un omaggio a Gershwin, poi con L’orchestra del Titanic, con il suo trio, con Rava in quintetto e in duo, in piano solo. E ogni volta è pertinente, geniale, interessante, attento a chi sta accompagnando. Suggerisco due cd completamente differenti tra loro: l’ultimo cd per l’ECM in piano solo dal titolo “Solo piano” e il suo cd “L’orchestra del Titanic” della Viaveneto di qualche anno fa.

Danilo Rea
Ascoltatelo con i suo DOCTOR 3 ma anche con Maria Pia De Vito ed Enzo Pietropaoli nell’omaggio a Joni Mitchell.

E poi è doveroso citare anche nomi di altri illustri pianisti del jazz italiano come Renato Sellani, Mario Rusca, Arrigo Cappelletti, Franco D’Andrea, Enrico Intra, Antonio Faraò, Paolo Birro, Paolo Brioschi, Rosario Di Rosa, Paolo Paliaga, Michele Di Toro, Mario Zara, Alfonso Santimone (da ascoltare il suo cd con Silvia Donati per Abeat), Luca Flores, Davide Santorsola (ottimo il suo manuale di piano jazz edito da Ricordi), Luca Mannutza, Salvatore Bonafede, Massimo Colombo, Giuseppe Emmanuele e chissà quanti altri che dimentico o che non conosco.

Buon ascolto a tutti

P.s. la maggior parte di questi non mangiano pasta al tonno


Max De Aloe

11 gennaio 2007

Il pianista che annusava una volta a settimana

Ora se tu fai il musicante la gente si sente un po’ obbligata quando t’incontra a parlare di musica. Del tipo un po’ di tutto: ho sentito quel cd, ho sentito quel concerto, quando va bene. Più spesso capita: c’era un mio amico al liceo che suonava la chitarra elettrica in un gruppo rock, lo conosci? No che non lo conosco. Si, dai, si chiama Colombo e suonava in un gruppo che facevano i pezzi dei Queen ma adesso lui lavora in una ditta di piastrelle. Dai, lo conosci? No, mi sa che non lo conosco. Oppure, e questo è un classico: ho sentito uno alla radio che non mi ricordo chi è che ha fatto un cd che non so il titolo ma suona il pianoforte. Dai, fa il jazz? Va che non lo so, è la risposta ma poi ti viene il dubbio e chiedi: ma per caso ha fatto anche un libro? Sì! Allora è Stefano Bollani.
Se poi ti dicono: ho visto uno in tv che suona il pianoforte e fa il jazz. Te dici: ha i capelli tutti ricci e un po’ lunghi? Sì è la risposta ma stai attento che ce ne sono due e sono gli unici due che suonano il pianoforte in tv e fanno il jazz. Uno è quello che ha scritto anche il libro di cui sopra ed è un genio e se ci fosse anche su tutti i canali e in tutte le trasmissioni a suonare il pianoforte sarebbe solo un sollievo per le nostre orecchie tediate dalla non-musica che la tv ci offre. L’altro invece, quello che racconta sempre che faceva il cameriere e ha dato il suo cd a Muti al ristorante ma poi Muti l’ha lasciato sul tavolino, quello è meglio lasciare stare. Ultimamente si è visto più lui in tv che Pippo Baudo. Poi racconta anche che per mesi interi ha mangiato solo pasta al tonno. E giro canale ma lui è da un'altra parte lì a raccontare sempre di Muti che non se l’ è filato e della pasta al tonno e poi dice anche che lui la musica ce l’ha sempre dentro che non può pensare che alla musica. Poi lo rivedo alla trasmissione della Dandini e parla di pasta al tonno, che faceva il cameriere a Muti e che lui, il pianista geniale, dedica un giorno della settimana a telefonare e un giorno alla settimana ad odorare. Poi suona e te pensi che Muti ha un gran fiuto e che non è un caso che il cd l’ha lasciato sul tavolino del ristorante.
Poi spengo la tv e cerco di dormire ma non ci riesco, un dubbio mi attanaglia la mente: quale sarà esattamente il giorno della settimana che dedicherà ad annusare?

Max De Aloe

6 dicembre 2006

L’armonica cromatica, Oh Susanna e il decreto Bersani


Mercoledì 6 dicembre 2006

Sapevo che prima o poi sarebbe successo…. Sapevo che prima poi su questo blog avrei dovuto parlare anche di armonica. Lo sapevo.
D’altronde te fai l’armonicista è normale che qualcuno ti chieda dell’armonica, se te facevi il falegname ti chiedevano dell’impregnante da mettere sul tavolo per non fargli venire i tarli o se te facevi il commercialista ti chiedevano se Bersani ha fatto bene. E da commercialista cosa avresti risposto? Come tutti gli altri commercialisti: che disastro sto decreto Bersani! Cazzo vuole sto Bersani! Sarebbe stato meglio che Bersani fosse andato a ramare il mare! Che fosse diventato ministro agli aggiornamenti della Play Station! E poi? E poi come tutti gli altri commercialisti avresti alzato i prezzi a tutti i clienti. Perché con il decreto Bersani dobbiamo alzare i prezzi (?!?). Dicono loro! Che adesso ci tocca lavorare di più! Loro, i commercialisti! Che lo vorrei anch’io un ministro che fa un decreto che poi non si sa come e perché tutti i musicisti devono alzare i prezzi.
Che poi i musicisti dicono: è colpa del decreto Fighetti Giancarlo, mica nostra! Vero! E i musicisti li pagano di più, anzi….li pagano.
Sapevo che prima o poi anche qui arrivavano gli appassionati armonica. Ho letto caro Ninni la tua risposta al post “Por la vida” dove ti sei insinuato e mi hai fatto le domande sull’armonica. Va che mi sono accorto. Che gli appassionati di armonica sono furbi. Io lo so. Lo so che sono furbi. Ma i principianti a me sono simpatici perché non c’hanno ancora tutti i tic di quelli più avanti. Sì perché suonare l’armonica cromatica ti aiuta a diventare due cose: o ironico e sempre incazzato. Percui, caro Ninni che mi scrivi come si fa a diventare come me sappi che se non ti piacerebbe vederti in un futuro prossimo o più ironico e più incazzato cambia subito strumento. Perché te dopo un po’ che suoni questo pezzo di ferro inizi a sentire la gente che ti dice: “Oh, oh, ma la sai ‘Oh Susanna’, che io da piccolo la sapevo suonare?”, “Oh, ma me lo fai il treno?!”, “Oh, ma ci leggi la musica con quella specie di strumento musicale lì?”, “Oh, ma le sai tutte le canzoni degli alpini?”, “Oh ma la fisarmonica a bocca è in do”? Che te o diventi ironico negli anni oppure “Oh Susanna’, gli dici, te gli dici, te la suoni te!”. Per non parlare della sequela armonica cromata, armonica acrobatica, armonica con il pistolino di fianco, fisarmonica a bocca…..per chiudere con (giuro): fisarmonica a bocca con il pistolino di fianco….ma piccola (riferito alla fisarmonica)!!! E’ vero! Ve lo giuro, mi è capitato.
Suonate il sassofono che nessuno vi rompe le palle! Datemi retta!
Ninni lascia stare! suona la batteria che gli spacchi i timpani ai vicini, quei bastardi. Si perché sono sempre i vicini di casa, travestiti, che li trovate in giro che vi fanno le domande del tipo: ma come si suona quella cosa? Guarda è facile, te gli rispondi, io ci provo da vent’anni ma adesso mentre saliamo in ascensore dal piano terra al terzo piano te lo spiego. Ci vuole poco.
Caro Ninni, va che non ce l’ho con te, che lo sai che vi voglio bene, che su jazzitalia ho scritto un sacco di cose belle sull’armonica. Che adesso è un po’ che non ci scrivo perché sono qua chiuso in casa che sto scrivendo un bel metodo per armonica cromatica. Un sacco di pagine, un sacco di esercizi, un sacco di scale, insomma un metodo che si potrebbe chiamare “L’armonica cromatica…..due maroni così”, oppure si potrebbe chiamare “L’armonica cromatica: come farti passare la voglia”. Giuro che è vero che lo sto scrivendo. Che tutte le volte che vedo i metodi per armonica ci sono su i fumetti, tre righe di spiegazione e poi le canzoncine. Com’è che i metodi degli altri strumenti sono pieni di note, esercizi, esempi? Belli, seri, rilegati bene. Certo che poi il vicino di casa ci chiede di suonare “Oh Susanna”. L’ha visto lui sul metodo “armonicisti in 24 ore” che c’è “Oh Susanna” e adesso vuole che la suoniamo.
Allora lo sto scrivendo io un metodo veramente noioso per l’armonica cromatica così vi annoiate subito e smettete. Lo faccio per il vostro bene.
Comunque caro Ninni, giuro che risponderò presto alle tue domande. Questa mattina lo volevo fare ma poi mi sono fatto prendere la mano. Ora vi saluto ma ricordate: non mi chiedete mai di suonare “Oh Susanna”, vi prego! Ho l’esaurimento nervoso. Vi prego!

Max De Aloe




25 novembre 2006

Por la vida



Sabato 25 novembre 2006

Fin da ragazzino conosco Raffaella Tagliabue, oggi attrice di teatro di talento. Amicizie in comune, abitiamo nella stessa città ma niente di più. A metà anni ’90 lei va a Genova per seguire la scuola di recitazione del Teatro Stabile e io proseguo il mio girovagare da musicante. La rincontro anni dopo per la realizzazione di un cd, io ovviamente ci suono e lei recita una poesia. Mi racconta che vive sempre a Genova, che il teatro continua ad essere la sua passione, la sua vita e il suo lavoro. Passano anni e lei in un giorno di settembre di quest’anno in un negozio di dischi di Genova s’imbatte nel mio ultimo cd. Ascolta la versione di Bebo Ferra e mia di “El dia que me quieras” e sembra fatto apposta: infatti insieme all’amica e attrice Elena Dragonetti stanno scrivendo “Por la vida”, uno spettacolo sulle madri di Plaza de Mayo.
C’incontriamo: l’occasione è una data in un piccolo club del mio spettacolo “Un controcanto in tasca”. Elena a fine spettacolo ha gli occhi che le brillano. Imparerò a conoscerla come una donna determinata e di talento ma anche capace di guardare al di là delle cose. Sapeva fin da quella sera che avrebbe funzionato.
Il giorno dopo mi recitano “Por la vida” e rimango stregato, ma il testo è talmente forte che mi ci vuole un po’ per riuscire a far capire che il mio silenzio a fine recita è solo stupore, smarrimento, emozione per una scrittura e una recitazione così intensa e un tema come quello dei desaparecidos che t’inchioda alla poltrona.
A “Por la vida” si aggiungono così le mie musiche con la mia figura un po’ goffa in scena. Iniziamo a provare lo spettacolo prima a casa mia a Gallarate, sorretti anche dalle cene e dall’entusiasmo di mia moglie.
A inizio di settimana scorsa vado a Genova per le prove generali e la prima nazionale che abbiamo realizzato al Teatro della Gioventù giovedì 23 novembre.
Sono tre giorni intensi. Genova è piena di sole. Tre giorni nei quali ho l’occasione di conoscere meglio uno spaccato del teatro indipendente italiano. Che in soldoni vuol dire farsi un mazzo incredibile ma, non so perché, essere felici. Raffaella ed Elena sono due rocce. Sono brave, capaci, modeste sempre, distanti anni luce dalle attriciucole da soap opera. Sono stanche ma l’entusiasmo e l’amore viscerale per il loro mestiere sorregge tutto, anche me che sono abituato ai ritmi più gozzoviglianti dei musicisti. Spostano pezzi di scenografia da una parte all’altra di Genova a piedi. Invadono gli autobus con appendiabiti e panchine. Si girano tutti i negozi di cinesi alla ricerca di qualcosa che manca alla scenografia. Affrontano i burocrati del teatro con piglio sicuro. Proviamo per ore e ore di seguito come non mi è capitato neanche con Franco Cerri, noto nell’ambiente del jazz come il più rigoroso nelle prove. E nel loro mondo gravitano scenografe e costumiste appena trentenni sorrette da un amore ancora più forte perché neanche appagate dal narciso di apparire in scena che passano nottate a pitturare lanterne o costruire panche. Per fortuna nel loro mondo ci sono anche Antonello del negozio di dischi in via Cairoli che mi riporta un po’ alla musica e soprattutto Fausto, il proprietario della Taverna di Colombo (o una cosa del genere) che tiene aperto il ristorante anche se non c’è nessuno per non farci saltare anche la cena. Si perché nel teatro indipendente italiano a quanto pare si mangia una sola volta al giorno, se va bene. Una cosa che sarebbe impensabile nel mondo del jazz. Anzi sarebbe la rovina del jazz: la sua estinzione, come un virus letale. Incompatibile con il dna del musicista di jazz che mangia sempre prima del concerto contravvenendo a una regola dei teatranti o di molte altre tipologie di musicisti che mangiano sempre dopo lo spettacolo.
C’è un vento fascinoso a Genova la sera e anche scendere da Castelletto a piedi, con una panca della scenografia in spalla, ha un effetto strano, piacevole, rilassante. Rifletto sullo scorso spettacolo di Elena e Raffaella su Ulriche Meinhoff dal titolo “Appese a un filo”, di cui ho visto un dvd, sempre prodotto da Narramondo Produzioni Teatrali di Firenze e penso che sia importante trovare qualcuno in questa Italia che ha ancora voglia di realizzare spettacoli d’impegno. Teatro “civile” qualcuno lo chiama.
Le notti poi leggo a casa di Elena, dove sono ospite, la biografia di Peter Brook edita in Italia da Feltrinelli e penso di aver perso un pezzo di vita a non aver ancora visto un suo spettacolo.
Poi il giorno della prima: le prove si risolvono solo nella prova luci. Il teatro era disponibile solo dal pomeriggio. Non c’è tempo neanche per una “tecnica”, così come la chiamano loro e si va in scena.
E’ diverso da un concerto. C’è più fermento, ansia, entusiasmo. Sento che qui c’è più attenzione al progetto. Tutto è più corale.
Entro in trans per un’ora e mezza e prendo fiato solo mentre suono perché devo pensare solo a quello. In quel momento suono bene e mi ricongiungo a me stesso ma subito Elena e Raffaella mi ributtano nei carceri dove torturavano i desaparecidos, nelle milonghe dove si balla il tango, in Plaza de Mayo ad imparare la lezione di madri che grazie al loro “esserci sempre” hanno permesso ai loro figli in qualche modo di non morire.
Un’ora e mezza. Si riaccendono le luci e tra il pubblico che applaude qualcuno piange. Sono felice di fare questo mestiere, sono felice di avere incontrato Raffaella ed Elena. Prendo l’auto e nella notte torno a casa.
Max De Aloe

12 novembre 2006

Jorge Ben o George Benson?

Ho ricevuto molte mail in relazione all’ultimo blog sull’illustre critico musicale. Mail che come spesso accade citavano “mancanze” e grandi superficialità dei professionisti del nostro Belpaese con riferimenti particolari alla categoria dei giornalisti e dei critici musicali. Intanto proprio mentre mi arrivavano mail su questo argomento l’amico e grande contrabbassista jazz Riccardo Fioravanti mi fa notare che su Repubblica di venerdì scorso 9 novembre c’è un articolo sull’ultimo cd della Mannoia dedicato alla musica brasiliana con star d’eccezione. Tra i tanti si cita anche Jorge Ben ma la foto con tanto di didascalia del compositore di “Mas que nada” è invece quella del chitarrista Gorge Benson. Beh, in effetti è facile sbagliarsi, sempre di musica si tratta….poi sono compositori entrambi….e entrambi sono di colore. Percui, dove’è il problema? Ma stavolta l’errore è sicuramente della redazione non certo del giornalista che una volta consegnato il pezzo ha poco controllo su quello che avviene nell’impaginazione dell’articolo.
Vero però che la critica musicale in Italia sia spesso incapace di approfondimenti, svogliata, facilmente incline al copia-incolla, ridotta a un semplice asservimento delle major discografiche. Un po’ come i dee-jay radiofonici, un tempo capaci diffondere le vere novità (il grande “Lupo Solitario”) o in grado di costruirsi radio indipendenti, libere, varie come in Italia negli anni ’70, oggi invece ridotti nella maggior parte dei casi a seguire un palinsesto preordinato o votati alla battuta facile, al semplice intrattenimento.
Per non parlare della nostra TV, privata o di Stato che sia, è lontana anni luce dal darci un input musicale che non sia una hit parade preregistrata per adolescenti svogliati da rendere sempre più omologati.
Chi oggi sulle pagine d’importanti giornali ci consiglia un cd lo fa più per inciuci diretti tra addetti stampa che per capacità di analisi reale del prodotto. Ma tutto questo lo sappiamo. O lo immaginiamo. Ma il problema è che è molto peggio di come lo possiamo ipotizzare.
Chiunque segue la musica da vicino in Italia rischia di disamorarsi sempre più dalla funzione della critica che invece avrebbe un suo valore nobile. Sì perché purtroppo questo malcostume ci porta a pensare che il critico musicale sia inutile. In realtà il ruolo della critica sarebbe fondamentale per il pubblico che avrebbe lo possibilità di avere utili e accurati suggerimenti nel mare sconfinato della musica che viene prodotta e l’interprete/musicista/compositore avrebbe un riferimento concreto e professionale sul suo lavoro come in quelle belle note di copertina sui vinile degli anni ’50 e ’60 dell’Impulse, Columbia o Blue Note.
E voi che ne dite?

Max De Aloe

29 ottobre 2006

Il critico nazionale!!!

Mario Luzzato Fegiz è un illustre critico musicale. Il critico musicale del Corriere della Sera. Del più importante quotidiano italiano. Spesso lo si è visto alla televisione italiana ai dopofestival del Festival di Sanremo sorreggendo o criticando gli Al Bano e i Reitano di turno. Un critico noto per musicisti noti, come Al Bano e Reitano appunto. Abbiamo avuto il piacere di vederlo anche fare la parte del giurato a una trasmissione come Music Farm. Il reality dei cantanti (?!?!) Tutto normale, tutto in linea con la nostra televisione, con la nostra musica, con i nostri giornali.
Mercoledì 18 ottobre sulle pagine del Corriere della Sera Mario Luzzato Fegiz firma l’articolo dal titolo “Addio ad Andrea Parodi l’ indiano dei Tazenda”. Un articolo sulla morte di Andrea Parodi. Ne descrive le tappe più importanti della sua carriera ma a un certo punto dell’articolo c’è lo scivolone. Il copia-incolla non funziona e il nostro critico miscela parte della carriera di Andrea Parodi (senza peraltro citare la sua intensa collaborazione con Al di Meola) con la vita di Paolo Fresu. Ma come mai? Forse perché sardi entrambi? Insomma in una girandola di gaffe trascrivo fedelmente: “….Nel 2000 arrivò la nomination per il ‘Django D’Or’ francese come miglior musicista internazionale insieme a Keith Jarrett e Charlie Haden…..” e ancora prima ci sono parti della vita del trombettista sardo infilate nel coccodrillo del povero Parodi.
Chiunque volesse leggersi l’articolo può andare sul sito del Corriere della Sera ma vi avverto: gli articoli tratti dall’archivio costano 5 euro….

Max De Aloe

11 ottobre 2006

L'altrove e il dentista-editore-poeta varesino

L’anno scorso un editore-poeta-dentista varesino mi chiese se avessi voluto partecipare ad un libro fotografico con artisti e pseudo tali varesini. Per rompere le mie titubanze mi disse che c’erano anche, tra i tanti, Missoni, Boldi, Jacchetti e Dario Fo. Missoni, Boldi e Jacchetti mi stanno sulle balle ma l’idea di essere vicino a un premio Nobel (seppure trombato alle primarie dell’Ulivo a Milano-ma questo succedeva dopo-) solleticava il mio ego con la delicatezza dei cannoni di Navarone.
Mi convinco velocemente e l’editore-poeta-dentista varesino o meglio, nell’ordine, dentista-editore-poeta varesino mi dice che di fianco alle foto di questo noto fotografo avrebbero voluto mettere degli scritti dell’artista. Il tema era l’altrove (?!?).
Le fote me le hanno fatte, lo scritto l’ho consegnato.
Il libro poi non l’ho comprato, l’ho sfogliato in libreria e ho scoperto che tra i tanti c’era anche il mio faccione in una posa ispirata con l’armonica in mano che sembra un cellulare (che molti avranno detto ma chi è questo pirla che si fotografare con il cellulare in mano?). Ma lo scritto di fianco alla foto non c’era.
Ho mandato una mail al dentista-editore-poeta varesino e mi ha risposto che lo scritto era poco artistico ed è stato cestinato e che siccome faccio il musicista tutti si aspettavano che mettessi uno spartito.
Allora ho pensato che lo scritto lo metto sul post di questa sera. Se avete voglia leggetelo sennò cestinatelo con un clik come il dentista-editore-poeta varesino.
Buona lettura


La redattrice mi chiama al telefono e mi spiega il progetto. Poi arriva il fotografo e mi fa le foto. Non è che m’imbarazzo con le foto. Ma una noia, una noia. Il fotografo lui sì che è bravo, ma bravo veramente ma a me sta storia qui di mettersi in posa per le foto va che è dura. Che la foto della prima comunione con tutti i bambini sull’altare con in mezzo il monsignore io me la ricordo bene. I dieci minuti più lunghi della mia vita. Più di dieci minuti, perché il Paolo Castiglioni e il Paolo Azzimonti erano già usciti dalla chiesa e noi lì tutti in posa sull’altare ad aspettarli. Che anche il monsignore iniziava a farsi venire i fumi. Me la ricordo bene sta storia della foto della prima comunione.
Poi la redattrice mi dice che devo scrivere qualcosa per il libro delle foto. Ma, mi scusi, ma il poeta può scrivere una poesia, lo scrittore un piccolo racconto, il pittore fa un bel ritratto e il musico cosa scrive? Può mettere uno spartito, mi risponde. Ha ragione. Che poi, mi dice, anche l’attore, per esempio, cosa scrive? Cosa scrive, dico io. Cosa scrive, dice lei. Boh! Diciamo insieme. Ma penso che mettere uno spartito sembra proprio che io ci credo veramente a sta storia di fare il musico che compone anche. Che a dire che faccio il musico già si fa fatica che c’è sempre uno che ti dice: ah, ho anch’io degli amici che suonano. E poi, e già lo sai che te lo dicono, sì ma di lavoro vero cosa fai? Che una volta per sbaglio ho detto anche che componevo e uno mi ha detto: come Mozart. Che io da quel giorno lì non dico più niente.
Per aiutarmi allora la redattrice dice che il tema è “l’altrove”. L’idea della partenza e del ritorno dell’artista nella città natale. E già mi vedo in tournée io, la mia armonica e il fido contrabbassista Riccardo Fioravanti. Mi passano per la testa tutte le mie belle citazioni di Pessoa, l’Aleph di Borges, mi sento già un piccolo Neruda a La Manquel, la sua casa in Normandia, dove si era rifugiato dopo aver preso il premio Nobel. Penso pure a “innamoramento e amore” di Alberoni e alla sua mogliettina che non mi ricordo come si chiama e a quel punto capisco che la cervice mi è esplosa in una melassa di egocentrismo e farneticamento cronico da commentatore di calcio in TV. Mi do una smossa.
Oh, mi dico - Va mio bel zifulatore di armonica che te non è che a suonare vai alla Carnegie Hall e neanche all’Opera di Parigi. E va che anche se ci andassi poi ritorni sempre a Busto Arsizio. Che non fa né trendy né bohemienne. Penso ai miei viaggi da musico: Agrate Brianza, Voghera, Cardano al Campo ma anche Bitonto, Cosenza, Ponsacco, Fasano. E la cosa più forte e intensa che riesco a tirare fuori dalla mia sensibilità di artista è sta storia dell’auto poi da spostare. Sì perché te puoi suonare ovunque ma appena arrivi c’è sempre uno che ti dice che puoi scaricare i tuoi strumenti ma poi l’auto la devi spostare. Può essere l’organizzatore di un Festival, il custode di un teatro, il barista etilista dello stand “arte, cultura & focaccia” del Festival dell’Unità ma quella frase lì te la devono dire appena sei arrivato. Che proprio pochi giorni fa alla Villa Erba di Cernobbio non faccio in tempo ad arrivare che mi dicono che lì sul retro dove scaricavamo i nostri bei strumentini la mia auto non la potevo lasciare. Siccome ultimamente sono suscettibile e rispondo che se è per me io prendo su tutto e come sono arrivato me ne torno a casa; quella volta lì siccome mi pagavano tanto ho detto va bene e l’auto l’ho spostata ma l’ho messa davanti all’entrata principale, vista lago, zona aperitivo che neanche Montezemolo ci parcheggia la Ferrari. Quelli si sono accorti solo dopo quando i centocinquanta invitati sono arrivati e guardavano la mia Ford Focus tutta infangata mentre i camerieri ci zigzagavano in mezzo per servire i loro salatini. Ah, che bell’altrove, quella volta lì a Cernobbio. Che il mio sogno, non so se l’avete capito è viaggiare per suonare ma parcheggiare l’auto sul palco e suonarci dentro….un giorno all’Opera di Parigi lo farò. Perché girare il mondo significa vederlo come lo vede Dio dall’alto: rotondissimo. Ma questa frase che è l’unica cosa bella di questo scritto non è mia ma di Nicola Bottiglieri. Buon Viaggio e buon musica a tutti…con l’auto vicino.

Max De Aloe

1 ottobre 2006

"Things" e Paolo Fresu

Domenica 1 ottobre 2006



Domenica sera, ascolto “Things”, il cd di Uri Caine e Paolo Fresu uscito da poco per la Blue Note. E’ una bella domenica sera e penso di essere fortunato di godere del piacere della musica.
Ho sempre avuto un amore viscerale per la musica di Paolo Fresu fin dalla seconda metà degli anni Ottanta. Quasi dai suoi inizi. E’ stato un innamoramento musicale dettato dall’istinto, dalle sensazioni, da qualcosa che colpiva il mio immaginario musicale ma che non mi preoccupavo troppo di analizzare. In quegli anni scoprivo il jazz, lo studiavo, avevo un timore reverenziale nel suonarlo e parallelamente continuano a suonare le tastiere nei gruppi rock. Ma registravo su cassetta tutto quello che trovavo: dalla fusion di quel periodo a Louis Armstrong. A diciannove anni ho visto il primo vero concerto di una star del jazz: Miles Davis, era il 1987. Non so se mi fosse piaciuto, era un progetto che allora mi lasciò completamente spiazzato e impreparato e proprio questo contribuì ad alimentare la mia curiosità. Nel jazz intravedevo un codice espressivo che sapevo alla lunga mi avrebbe rapito. Fresu invece mi sembrava da subito accessibile. Una musica di cui potersi veramente innamorare. Poi arrivarono studi musicali più approfonditi con il pianoforte e la scoperta dell’armonica cromatica. In vent’anni il jazz è diventato la mia vita e da allora ho imparato ad apprezzare molti modi di fare musica e molti artisti e cosa ridarei per riessere lì a quel concerto di Davis ma la musica di Paolo Fresu continua ad essere per me affascinante, arricchita di elementi di analisi che negli anni ho imparato ad comprendere ma epidermicamente provo quello che provavo vent’anni fa.
Paolo Fresu è senza ombra di dubbio il musicista più amato e più noto del nostro jazz in Italia e nel mondo. Critica e pubblico sono stati fin dai suoi esordi solidali, cosa che succede di rado, nel tributargli riconoscimenti ed affetto. Sì, perché Fresu è un musicista a cui si vuole bene perché capace, come solo poche grandi star sanno fare, di regalare la sua arte al pubblico con facilità pur suonando cose non “facili”. E’ un grande comunicatore senza usare mai trucchi di scena, artifici da star, strategie di marketing e di abili addetti stampa. Un musicista che ha avuto la capacità e la fortuna di iniziare giovanissimo già tra i grandi del jazz e quella fortuna lui l’ha saputa ripagare regalando negli anni sempre progetti musicali di grande spessore e originalità. Sì, perché quello che colpisce di più di questo trombettista, che è partito da un piccolo paesino della Sardegna e che ha portato il jazz italiano in tutto il mondo, è la sua capacità di coniugare grandi doti musicali con una sorprendente curiosità intellettuale e una modestia innata. Paolo Fresu non unisce solo i suoi musicisti sul palco, i suoi fans nei festival, ma allarga smisuratamente la prospettiva convogliando in progetti culturali e musicali musicisti di diversa estrazione, intellettuali, artisti, poeti, attori, artisti di strada, gente comune per dare vita a dischi, tournée, happening e festival (quello di Berchidda da lui organizzato ne è un vivido e affascinante esempio). Un curioso della vita e della musica che in un mondo di appiattimento culturale risulta essere una sana boccata d’ossigeno.
Ma se da una parte esiste il Paolo Fresu artista curioso e sempre bisognoso di nuovi stimoli con sempre nuovi e sapienti partner musicali, dall’altra parte c’è la fedeltà di uomo sardo non solo alle sue origini e alla sua terra ma ai progetti musicali che negli anni hanno saputo raccogliere consensi e autenticità, come il Paolo Fresu Quintet, la sua prima formazione arrivata ai ventidue anni di attività. Potete ascoltarlo in decine e decine di cd che fanno parte della sua smisurata discografia. Tra i tanti in questa sera domenicale mi viene da suggerirvi il sopracitato “Things” con Uri Caine ma anche “Ensalada Mistica”, “Ballads” o “Live in Montpellier” con il suo quintetto o “Contos” con John Taylor e Furio Di Castri oppure “Kind of Porgy and Bess”, “Metamorfosi” e altri ancora.
Buon Ascolto

Max De Aloe

23 settembre 2006

I Crocevia di Gian Maria Volontè

Grazie per i commenti, le impressioni e le riposte al mio post di benvenuto. E tra citazioni su Seneca di fascinosi lettori, la quanto mai veritiera affermazioni di AG sul girare in tondo a una rotatoria e SP che si trova su un prato in salita (beh, ma ad immaginarsi su un prato è già una cosa che, senza scomodare improvvisate e facili teorie cognitive, è gran meglio che su di una strada….per di più asfaltata) vorrei portarvi l’esempio di un artista che nella vita si è trovato spesso a un crocevia ma che ha sempre scelto, non penso con facilità, la strada del rigore, della dialettica rivoluzionaria tra l’arte e l’esistenza. Un uomo di un talento smisurato che nella società italiana caciarona e opportunista ha sempre rispettato la sua professione di attore come rispetto primario di se stesso uomo. E’ Gian Maria Volontè, un artista di istrionica bravura, spesso considerato fuori fuoco dallo star-system soprattutto per il solo fatto di mettere sempre il suo modo di essere attore al di sopra di tutto. Credibile in ogni ruolo e chissà come mai scomodo in ogni ruolo. Un attore che ha rifiutato hollywood degli anni d’oro e i suoi danari nel nome di una coerenza artistica oggi quanto mai assolutamente fuori moda. Su di lui è uscito recentemente un libro+dvd della BUR a cura di Franco Montini e Piero Spila che ho divorato in una notte insonne. Il libro è ricco di contributi ma colpiscono alcune sue affermazioni come: “…Io sono per la partecipazione critica, e per un rapporto dialettico con la materia complessiva del film, com’è organizzata, vista e raccontata dall’autore. Può darsi che questo in un certo tipo di cinema non accada o accada meno. Comunque, laddove non accada, è un cinema che a me interessa poco” (G.M.Volontè 1979) e ancora:”Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema. E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico. Il cinema apolitico è un invenzione dei cattivi giornalisti. Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me la necessità d’intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa così come il teatro, la televisione. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario tra l’arte e la vita” (G.M.Volontè 1984).
Suggerimento di questo post: proviamo a boicottare l’Isola dei famosi, Pupo, Amadeus e Vespa che sta per arrivare e noleggiamoci (se li troviamo!!!!) qualche film con Volontè come “Porte aperte”, “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, “Il caso Mattei”, “Una storia semplice”, “La classe operaia non va in paradiso” , “Sacco e Vanzetti”, “Todo modo”, ecc. e poi ne riparliamo.
P.s. ma a proposito, quando ricomincia Buona Domenica?
Max De Aloe

17 settembre 2006

Post di benvenuto

Il primo post di questo blog lo userò per approfondire l’idea di fondo già accennata nella breve presentazione del blog.
Il punto di partenza è l’idea del Crocevia, che è poi il titolo del mio nuovo cd che uscirà nei negozi a fine settembre e di cui potete trovare notizie su www.maxdealoe.it
Il Crocevia, l’incrocio tra due strade, dà l’idea del movimento. Ma è anche un luogo che obbliga una scelta: vado dritto o giro? E giro per dove? Il senso affascinante del dubbio che va risolto velocemente perché in un incrocio non si può sostare. Il Crocevia ci porta a una visione dinamica della vita. La piazza può essere un luogo d’incontro anche più piacevole ma stanziale.
La vita di tutti i giorni e soprattutto quella del fare musica (ma vale per chiunque viva con entusiasmo e passione la propria professione) per me va sempre vissuta come in prossimità di un incrocio. Vado dritto o giro? E giro per dove? Che affascinante porsi questa domanda e poi proseguire o svoltare. Poi a qualche incrocio della vita come della musica sale qualcuno con te per un pezzo del viaggio o per un lunghissimo viaggio (la mia anguilla). Mai come in questo momento e in questo cd la mia musica è arrivata a un crocevia, a un momento di svolta che mi porta a riflettere sempre su nuove cose. E sono io il primo ad affascinarmi.
E nello scrivere in questa domenica di settembre, penso a questo mese che ci regala gli ultimi scampoli di sole e non so perché ma la mente ripesca un’ immagine da una lettera di Enzo Tortora alla figlia Silvia che dice….”Aspetto la cosiddetta aria. La vita carceraria è sempre più rivoltante e alienante, ieri abbiamo firmato tutti un lungo documento e così la Fatina (il direttore del carcere, ndr) è servita. Ti giuro il ribrezzo che mi fa quest’uomo è indicibile. Ai vili ho sempre preferito i nemici chiari. Abbiamo giornate di sole: deve essere un bel settembre, mi raccomando fate qualche gita, il settembre è così dolce…Gaia ha problemi con i libri? E tu? Scrivetemi vi prego, non consideratemi un invalido, non lo sono….ancora.
A te, Gaiola e mamma un fortissimo abbraccio, Papà” –Carcere di Bergamo– 14 settembre 1983
Percui mentre ci avviciniamo ai crocevia non dimentichiamo di goderci "questo settembre così dolce".
E voi siete in questo momento a uno dei tanti vostri crocevia?

Max De Aloe

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